martedì 1 giugno 2010

3: Il nuovo crimine di Israele indigna ma non stupisce

di Domenico Losurdo

Il crimine consumato da Israele in acque internazionali a danno dei pacifisti impegnati a portare soccorso ai prigionieri rinchiusi in quell’immenso campo di concentramento che ormai è Gaza può e deve indignare, ma non può stupire: da un pezzo il governo di Tel Aviv si mostra deciso a colpire col terrore non solo le vittime dirette del suo espansionismo coloniale, ma anche coloro che osano esprimere solidarietà con le vittime e in un modo o nell’altro intralciano la terribile macchina da guerra e di oppressione cui i carnefici fanno ricorso. La tesi secondo cui i pacifisti erano armati e quindi meritevoli di morire fa il paio con la tesi in base alla quale era un obbligo morale scatenare l’operazione Shock and awe (Colpisci e terrorizza!) contro l’Irak di Saddam Hussein, colpevole di detenere armi di distruzioni di massa! Anche nell’arte della manipolazione si rivelano la solidarietà e la complicità di fondo che legano Israele e gli Usa e che non sono sostanzialmente intaccate dall’avvicendarsi dei vari inquilini della Casa Bianca.

E’ una manipolazione che, se non apertamente incoraggiata, non è certo ostacolata dalla grande stampa di «informazione». Negli ultimi tempi, in Palestina così come in certi settori dell’Occidente, si sta sviluppando una forma nuova di lotta, consistente nel boicottaggio delle merci prodotte da coloni che, in flagrante violazione del diritto internazionale e dei diritti dell’uomo, continuano ad espandersi nei territori occupati. Era l’occasione, per coloro che non si stancano di condannare la «violenza» della resistenza, di salutare questa forma di lotta tipicamente non-violenta che è il boicottaggio. E’ invece avvenuto il contrario. Sul «Corriere della Sera» Furio Colombo e diversi altri si sono affrettati nei giorni scorsi a sentenziare che il boicottaggio delle esportazioni israeliane provenienti dai territori illegalmente occupati fa pensare alle misure a suo tempo messe in atto dalla Germania nazista contro i negozi di proprietà ebraica.

Come stanno in realtà le cose? Come ho ricordato nel mio ultimo libro (La non-violenza. Una storia fuori dal mito, Laterza), al boicottaggio hanno fatto costantemente ricorso i popoli oppressi, in primo luogo i popoli coloniali. E’ uno strumento di lotta che, per limitarci al Novecento, vediamo all’opera in Cina nel corso della protesta organizzata dal movimento del 4 maggio (1919) contro la pretesa del Giappone, incoraggiato o tollerato dalle altre potenze imperialistiche, di imporre il suo protettorato sul grande paese asiatico. Un decennio dopo, al boicottaggio dei tessuti giapponesi fa seguito in India il boicottaggio dei prodotti dell’industria tessile inglese. In questo caso, a promuovere l’agitazione è il movimento ispirato e diretto da Gandhi: «Donne picchettavano regolarmente i negozi dove erano venduti vestiti prodotti in Gran Bretagna. Esse seguivano le altre donne che uscivano dai negozi e cercavano di persuaderle a restituire i loro acquisti». Alcuni anni dopo, è la comunità ebraica internazionale a suggerire il boicottaggio delle merci tedesche come risposta al furore antisemita di Hitler. E’ questa la tradizione alle spalle del movimento che oggi cerca di colpire le merci prodotte solo grazie a un disumano espansionismo coloniale nei territori palestinesi occupati.

Certo, sin dagli inizi il regime nazista si è impegnato a strangolare l’attività commerciale e industriale degli ebrei tedeschi e a privarli delle loro legittime proprietà. Ma tutto ciò ha a che fare non col boicottaggio (tradizionale strumento di lotta dei popoli oppressi), bensì con l’uso terroristico del potere politico. Semmai una analogia si vuole cercare, occorre allora fare riferimento alle misure che oggi colpiscono i palestinesi, espropriati delle loro case, delle loro terre, dei loro uliveti, e messi sempre più nell’impossibilità di condurre una vita umana degna di questo nome.

La condanna, anzi la criminalizzazione, che il potere e l’ideologia dominanti fanno anche della lotta non-violenta contro il colonialismo sionista, è la conferma della volontà di Washington e di Bruxelles, nonostante alcuni momenti di imbarazzo e di apparente presa di distanza, di lasciare impuniti i crimini di Israele, anche quelli commessi in acque internazionali, e di condannare invece in un modo o nell’altro qualunque forma di resistenza del popolo palestinese. Sul versante opposto, è obbligo morale di ogni democratico, anticolonialista e antifascista solidarizzare con la resistenza palestinese (e araba e islamica) contro l’imperialismo e il colonialismo. Spetta a essa decidere e scegliere le forme di lotta. E’ con questo spirito che sabato 29 maggio ho partecipato a Firenze all’affollata e combattiva manifestazione che si è stretta attorno a Ali Fayyad, membro del Parlamento libanese e autorevole esponente di quel grande movimento di liberazione nazionale che sono gli Hezbollah.

2. / La controrivoluzione neoliberlista e filo-imperialista di Human Rights Watch

di Domenico Losurdo

La contre-révolution néo-libériste et pro-impérialiste de Human Rights Watch (trad. fr. par Marie-Ange Patrizio)

Sull’«International Herald Tribune» dell’11 febbraio David E. Sanger riferisce che, non contenta di rafforzare la presenza della flotta Usa nel Golfo Persico, l’amministrazione Obama è impegnata all’interno dell’Iran a «rilanciare le azioni clandestine di lunga durata contro il programma nucleare». A sua volta, intervistato da Ennio Caretto sul «Corriere della Sera» dell’8 febbraio, un «esperto» statunitense, che – precisa l’intervistatore – lavora «per la Cia e l’Fbi» dichiara a proposito di Israele: «Non escludo che abbia già uomini in Iran pronti a fare saltare gli impianti del nemico e so che dispone di missili e bombe per penetrare a grandi profondità nei bunker atomici». Dunque i preparativi di aggressione sono in pieno svolgimento, anzi, come dimostrano i rapimenti e gli assassini «mirati» degli scienziati iraniani, in un certo senso è già iniziata l’aggressione e a promuoverla, assieme ai suoi protettori statunitensi, è il governo che si riserva il diritto di colpire massicciamente l’Iran, sospettato di voler rincorrere Israele per quanto riguarda l’armamento nucleare!

Come dovrebbe atteggiarsi in queste circostanze un’organizzazione che dichiara di voler promuovere la causa dei diritti umani? Uno dei diritti fondamentali dell’uomo – lo dichiara già Franklin Delano Roosevelt nel 1940 e lo riconosce anche la Carta dell’Onu – è la «libertà dalla paura» di essere aggrediti, bombardati o invasi. Ma vediamo invece come argomenta Hadi Ghaemi, «coordinatore della campagna internazionale per i diritti umani in Iran di Human Rights Watch». Intervistato da Francesca Paci («La Stampa» del 12 febbraio) egli riconosce un punto essenziale: «Tutti i giornalisti occidentali che sono andati a Teheran in questi anni hanno raccontato che la popolazione è favorevole al nucleare a fini pacifici». Dovrebbe essere un motivo in più per esigere la fine dei rapimenti e degli assassini «mirati», ma non è così che la pensa il rappresentante di Human Rights Watch. Ben lungi dal condannare gli aggressori, egli fornisce loro dei consigli: «Bisogna colpire [per ora sul piano economico] in alto, i vertici politici, la guardia rivoluzionaria». E non è tutto: le aziende europee e persino quelle cinesi sono invitate a disinvestire e ad «andarsene immediatamente» dall’Iran. In tal modo, ad essere colpita sarebbe in realtà la popolazione civile iraniana nel suo complesso, che vedrebbe un calo del suo tenore di vita e subirebbe un attacco ai diritti economici e sociali, anch’essi sanciti dalla Carta dell’ONU.

Il meno che si possa dire è che il rappresentante di Human Rights Watch cancella dal catalogo dei diritti il diritto all’indipendenza e alla sicurezza nazionale, alla «libertà dalla paura», nonché i diritti economici e sociali. La sinistra deve ovviamente prendere sul serio i diritti dell’uomo, ma proprio per questo deve saper smascherare organizzazioni come Human Rights Watch, complici della controrivoluzione neoliberista e imperialista e in ultima analisi nemiche di quei diritti dell’uomo che in modo grottesco esse pretendono di voler difendere.

giovedì 18 febbraio 2010

1. Una micidiale «guida morale»


di Domenico Losurdo

Nei giorni e nelle settimane precedenti le elezioni del 2000, l’«International Herald Tribune» riferiva compiaciuto delle difficoltà incontrate da Milosevic nello svolgimento della campagna elettorale: «Timoroso di essere assassinato, il cinquantottenne presidente appare raramente in pubblico e solo per pronunciare dinanzi ai suoi seguaci brevi discorsi sui mali del fascismo». Circa una settimana dopo, sullo stesso quotidiano un altro giornalista statunitense scriveva: non ci sarà pace nei Balcani «sino a quando Milosevic non viene tratto in inganno e colpito o trascinato via dal potere in una bara». E ora spostiamoci in Medio Oriente. Sempre nel 2000 e sempre l’autorevole e distaccato «International Herald Tribune» annunciava giubilante: la Cia ha stanziato somme enormi «per trovare un generale o un colonnello che conficchi una pallottola nel cervello di Saddam» (cfr. D. Losurdo, Il linguaggio dell’Impero, pp. 4-5). Com’è noto, per conseguire l’obiettivo dell’eliminazione fisica di due capi di Stato non graditi o non più graditi, contro la Jugoslavia furono necessari una guerra e un colpo di Stato, contro l’Irak un embargo micidiale e prolungato e poi una guerra.

Veniamo all’oggi. Il «Corriere della Sera» del 10 febbraio riporta le dichiarazioni di Elie Wiesel: «Se il presidente iraniano Ahmadinejad fosse assassinato, non verserei una sola lacrima». Perché non ci fossero dubbi sul significato reale delle sue dichiarazioni, Wiesel si è preoccupato di rilasciarle alla «Radio militare israeliana». C’è ancora lavoro per gli squadroni della morte: lo sa bene il premio Nobel per la pace!

Ma è interessante leggere il commento della gionalista del «Corriere della Sera» (Alessandra Farkas), che riporta le dichiarazioni di Wiesel: «Mentre Teheran alza i toni dello scontro, minacciando direttamente i leader occidentali, lo scrittore e attivista sopravissuto alla Shoah non esita a proporsi come guida morale…»!